Recensione Film | Tempo di lettura 3′ |
Talvolta uscendo dal cinema, al termine di un film molto bello, se tratto da un libro, rimpiango di non averlo letto, di non averne sottolineato delle frasi, di non aver immaginato e fatte mie le scene che ho visto impresse sullo schermo, prima che qualcuno lo facesse per me.
E’ accaduto di nuovo sabato scorso, dopo aver visto “Le Otto Montagne”, un bellissimo film tratto dal romanzo di Paolo Cognetti, altrettanto bello a detta di tanti e di tutti coloro che lo hanno votato vincente al Premio Strega nel 2017.
Un romanzo di formazione, lo definirebbero i critici, perché segue i due protagonisti nel loro passaggio dall’età infantile a quella adulta. Eppure la storia è molto più complessa, perché ha un’ulteriore protagonista, muta ma dominante, che guarda dall’alto gli altri due e li guida in un percorso di crescita, complicità e scoperta: la montagna.
Siamo negli anni 70. I due ragazzini si conoscono in un piccolo paese di montagna in cui uno passa solo le estati e l’altro vive tutto l’anno. Vivono insieme un tempo sospeso, in cui bastano a se stessi, grati di essere un’alternativa alla solitudine. Un mondo così distante e incredibile per i loro coetanei di oggi, fagocitati da una vita piena, in cui ogni momento di pausa non è un’opportunità, ma un inciampo nella noia, da risolvere con un’attività da intraprendere.
Corrono, si arrampicano, si tuffano in un lago, si azzuffano scherzosamente.
Respirano a pieni polmoni e lentamente tutto ciò che gli è intorno gli entra dentro, li riempie ma al tempo stesso li lascia vuoti, in compagnia tra loro, ma soli verso tutti gli altri, che sono altrove e lontani.
Impossibile non pensare a Mattia e Alice, i numeri primi di Paolo Giordano, ovviamente diversi per tanti aspetti, ma altrettanto soli per un equilibrio ricercato ma non trovato. Peraltro i due film condividono uno dei protagonisti: Luca Marinelli.
La storia, di cui non racconterò nulla, li accompagna fino all’età adulta, rendendo anche il tempo un protagonista indiscusso, rappresentato dalla montagna stessa in una delle frasi bellissime che avrei voluto sottolineare e invece ho solo ascoltato: “Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte.”
Il film, sebbene un po’ lungo, risulta essenziale sia nella narrazione che nella rappresentazione. Girato nel formato 4:3 che riporta proprio agli anni 70, racconta alcuni momenti salienti con una sola scena, spesso senza perdersi in parole, ma lasciando allo spettatore le conclusioni e le riflessioni.
Merita una segnalazione anche la colonna sonora, a tratti struggente, opera di Daniel Norgren (https://www.youtube.com/watch?v=xjYl5SRj01Y&t=4s).