Recensione Film | Tempo di lettura 3′ |
Nella sconfinata offerta televisiva creata dall’epoca dello streaming, esiste un gioiello, che solo il passaparola poteva far emergere.
Vedendolo, vi potreste scoprire a dialogare con la televisione o con l’Ipad, potreste trovare risposte a quesiti che vi giravano in testa più o meno consapevolmente, ma soprattutto trovereste voi stessi in uno o più personaggi.
Al tempo stesso scoprireste che è ancora possibile guardare la tv senza mai farsi distrarre dal cellulare, perché se accadesse, sareste costretti a ritornare indietro per rileggere il dialogo che avreste perso.
Infine, dopo averlo visto, diventereste una delle voci che compongono il passaparola e che con fatica pronunciano il titolo: Shtisel.
Questo è tutto ciò che mi è accaduto e il mio contributo alla sua diffusione lo state leggendo.
Per me il punto di partenza è stato accogliere il suggerimento di una persona cara, sebbene gli elementi in mio possesso mi lasciassero dubbioso: una serie in lingua originale ebraica, con i sottotitoli e che si dipana per 33 episodi!
Invece in poco meno di un mese ho visto le tre stagioni senza mai staccare gli occhi dallo schermo.
La serie racconta la vita della comunità ebraica ortodossa, attraverso una sua grande famiglia.
Non sono però gli usi e i costumi della comunità a essere protagonisti della narrazione, bensì lo scontro costante tra la ragione che, vestendo i panni della religione, cerca di stabilire un ordine e le emozioni, che prendono vita nella confusione.
Quel mondo fatto di regole, di usanze e di dogmi riesce ovviamente a esaltare questa frattura e queste differenze, proponendoci il continuo conflitto dei protagonisti, in perenne mediazione con se stessi e con tutto ciò che c’è fuori.
E’ in questa costante opera di accomodamento e accordo tra la parte razionale e quella sentimentale che lo spettatore si identifica, si affeziona ai personaggi, alle loro debolezze, al loro anelito di felicità e finisce per giudicare ognuno di loro con maggiore o minore indulgenza in relazione a quanto gli assomigli. Anche se i personaggi sono mutevoli nel corso della storia, si evolvono, cambiano e con essi i giudizi e le simpatie di chi segue il racconto. Accade anche che qualcuno di loro faccia qualcosa che chi guarda non ha avuto la forza o la capacità di fare e allora, spinta da un sospiro, nasce un pizzico di invidia.
Mentre le puntate passano, la vita nello schermo cammina, accelera, decelera, i bambini crescono, gli anziani muoiono e tutto ciò contribuisce al bilancio di ognuno dei protagonisti, ma soprattutto manda messaggi al di fuori dello schermo. Lo spettatore si ritrova parte integrante del racconto, che non è altro che la storia delle emozioni di ognuno di noi: un flusso costante di umanità.
La sceneggiatura è un capolavoro, una miscela alchemica fatta di sguardi e dialoghi che trova il suo completamento profondo nel ricorso a immagini simboliche e a frequenti escursioni oniriche.
I luoghi sono un contorno modesto di cui non si ha grande bisogno, bastano i personaggi e le loro relazioni.
Per questo sono fondamentali gli attori, tutti molto bravi, in grado di parlare con gesti e sguardi e ai quali ci si affeziona come a vecchi amici di cui conosciamo vizi e virtù.
Infine ci sono i dialoghi, intensi, talvolta ironici, profondamente veri, di cui forse si fruisce meno per via dei sottotitoli, anche se talvolta hanno la forza di un aforisma o di una lezione di vita che si vorrebbe sottolineare sullo schermo, ma soprattutto fare propria.
Non è una visione semplice, non è un intrattenimento che scorre via leggero, è un costante spunto di riflessione, con tanta poesia e spesso foriero di commozione.
Se tutto ciò non vi intimorisce, gettatevi a capofitto nella visione, che merita il vostro tempo e vi lascerà sensazioni positive che ricambierete con un piccolo spazio nella memoria e il bisogno di raccontarlo a qualcuno.
PS: La trovate su NETFLIX.