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Nella scena del film che sto vedendo tantissime persone camminano nel centro di Londra, qualcosa di molto normale, almeno fino a qualche mese fa.
Rimango colpito dal fatto che non percepisco più la normalità come tale e mi chiedo se ne esista una nuova, se tornerà quella vecchia o se ne nascerà una che non conosco ancora.
La sensazione più strana è che quel film non racconti la contemporaneità, perché, all’improvviso, qualche mese fa non è uguale a oggi ed è diventato il passato come mai prima d’ora era accaduto.
C’è stato uno strappo netto, tra il prima e il durante, in attesa che arrivi il dopo.
Fino a qualche mese fa una scena girata a Waterloo Station, sarebbe stata difficilmente collocabile nel tempo, raccontava un presente molto simile ogni giorno: un via vai di persone, metropolitane in partenza, negozi, treni in arrivo segnalati da avvisi  dello speaker, etc.
Oggi chiunque veda quella scena sa che non è stata girata negli ultimi tre mesi, si chiede se potrà essere girata identica nel futuro, ma più di ogni altra cosa sa che è vecchia, passata, di un’epoca precedente, vicina nel tempo ma è di “prima”.
Questa idea mi ha portato indietro al 2001, a New York, a un altro strappo epocale: l’abbattimento delle torri gemelle.
Ovvio che la portata dell’attentato e purtroppo le vittime, sono ben diversi dalla pandemia attuale, eppure per New York e forse per tutta l’America il tempo si divise tra il prima e il dopo.
Perfino la cinematografia si pose il problema e il primo “Spider-Man” venne censurato, eliminando la scena in cui il supereroe imprigiona con la sua ragnatela un elicottero tra le torri del World Trade Center.
Di certo per rispetto alle vittime e per non rinnovare un dolore, ma indubbiamente anche perché la scena aveva perso di senso in quanto quel posto non c’era più.
Forse è questo che accade nella storia, quella che leggiamo nei libri di scuola: eventi scandiscono il tempo, racchiudendo la normalità in epoche, brevi o lunghe che siano.
L’evoluzione progressiva, nella sua fluidità, ci colpisce meno.
Pensate a un figlio, lo vedete crescere e capite che il tempo sta passando, ma succede giorno dopo giorno, ed è accettabile e ovvio. Immaginate ora il figlio di un amico che non vedete da dieci anni e che all’improvviso vi guarda dritto negli occhi, quando l’ultima volta vi dava la mano dal basso e lo accompagnavate per attraversare la strada.
Nei libri non troviamo le evoluzioni quotidiane, troviamo gli eventi importanti e grazie a quelli talvolta la storia accelera e trasforma i suoi protagonisti. Ce ne sono tanti e di pesi diversi, qualcuno occupa un paragrafo, qualcun altro un capitolo.
Oggi siamo dentro la storia, più delle persone davanti alla tv per il primo passo sulla luna, che è solo un paragrafo, ma forse come quelli che si nascondevano nei bunker durante la seconda guerra mondiale, che è di certo un capitolo, o anche più di uno.
Per la portata degli avvenimenti e per la sua globalità sta cambiando il mondo e affinché accada realmente il destino delle persone deve essere in gioco, altrimenti saremo seduti su un divano come nel 1969 e domani in fondo sarebbe tutto uguale.
Tornando alla scena del film, mi sono chiesto quali storie si possano ancora inventare e raccontare. Penso che tutti gli scrittori si trovino in uno strano limbo, in cui posizionarsi in un presente che tutti vogliono far passare sia una pessima scelta, ma anche fare un passo indietro al prima significhi rischiare che sia presto obsoleto. Resta solo il futuro, che senza certezze, si può immaginare migliore e che forse tutti noi vogliamo sentirci narrare come tale, sperando che non sia una favola ma un previsione verosimile.

* Stavolta ho chiesto in prestito il titolo a Francesco De Gregori