Recensione Libro | Tempo di lettura 3′ |
La scorsa settimana c’è stata la scomparsa prematura dello scrittore Carlos Ruiz Zafón, che nel 2002 divenne famoso in tutto il mondo per il libro “L’ombra del vento”, che solo in Italia ha venduto un milione e mezzo di copie.
Il romanzo l’ho amato profondamente e l’ho consigliato e regalato a tanti amici, ma soprattutto ne conservo due ricordi che mi diedero la misura di quanto questo amore fosse condiviso e di quanto le storie, quando catturano il lettore, riescano ad abbandonare le pagine per invadere la vita reale.
Nel 2004 mi recai per la prima volta a Barcellona, dove il romanzo è ambientato. Tra le tante cose che decisi di vedere mi fu inevitabile non pensare all’Avenida del Tibidabo, che all’interno del racconto ospitava una villa maledetta di proprietà della famiglia Aldaya.
La strada si inerpica sulla collina omonima e può essere percorsa con un tram. Quel giorno per salire sul mezzo c’era una fila di persone e un paio di loro tenevano sotto braccio il libro.
Due anni dopo mi trovai nuovamente nella città catalana per lavoro. Una sera partecipai a una cena di gala, che il destino volle all’interno di una bellissima villa sull’Avenida del Tibidabo.
Per la prima parte della serata sulla bocca di tutti c’erano gli eventi del libro.
Per Zafón quello era il quinto libro, dei quali i primi tre destinati ai ragazzi. D’improvviso uscì dall’anonimato con un successo planetario, ma i libri successivi fallirono l’alchimia e delusero in parte i lettori, sebbene continuassero a raccontare le gesta dei protagonisti fino a comporre una tetralogia(“Il gioco dell’angelo”, “Il prigioniero del cielo” e “Il labirinto degli spiriti”).
La letteratura è ricca di romanzi che per meriti reali, per passaparola tra i lettori o per una serie di combinazioni di questi fattori e di altro, hanno portato alla ribalta autori che poi non sono riusciti a ripetere o a tenere vivo il successo.
Talvolta accade a un esordiente di avere una partenza bruciante per poi perdersi nell’incapacità di confermarsi.
Altre volte succede a scrittori che hanno avuto il merito di non mollare e la fortuna di aver avuto un editore che, nonostante il poco successo, abbia continuato a pubblicarli.
Questo secondo caso ha conosciuto due illustri esempi negli anni recenti: Dan Brown e Carlos Ruiz Zafón con “il codice Da Vinci” e “L’ombra del vento”. Entrambi segnati anche dalle necessità commerciali di sfruttare ancora dei protagonisti entrati nell’immaginario dei lettori.
In realtà credo, a parziale discolpa degli autori, che una performance artistica che susciti grandi emozioni (a prescindere dall’oggettivo valore) faccia alzare di molto le aspettative, rischiando di deludere ai tentativi successivi, che necessariamente saranno diversi da quella volta e forse, anche per scelta dei fruitori, che amano lasciarla sola nella memoria, come irraggiungibile e quasi magica.
Alcuni eventi per essere indimenticabili devono necessariamente essere unici. Forse lo sapeva bene il violinista Paganini, di cui conosciamo il popolare detto «Paganini non ripete», sebbene la storia ci racconti che questa frase dipendesse dalle sue improvvisazioni e dalle lesioni ai polpastrelli, non è da escludere che l’artista conoscesse il valore di unicum senza repliche.