Recensione Libro | Tempo di lettura 3′ |
Sandro Veronesi sa scrivere e su questo non ci sono dubbi.
La metafora simbolica del titolo è una sintesi perfetta del romanzo e il colibrì è l’alter ego del protagonista, che riesce a rimanere in equilibrio nel ciclone in cui la vita lo inghiottisce, senza dargli mai la possibilità di fermarsi, sottoponendolo a una pressione continua che richiede un’azione costante per non crollare al suolo.
Eppure tutti questi sforzi non sono mirati all’avanzamento ma all’immobilità, sono solo una reazione alle prove di una vita il cui fine è l’equilibrio e non l’evoluzione.
La storia di Marco Carrera, figlio della media borghesia fiorentina, oftalmologo, viene raccontata nella sua interezza e nei suoi molteplici snodi che lo vedono figlio, marito, padre e nonno.
La narrazione avviene con grande maestria e con l’utilizzo di tutte le forme che quest’arte prevede: un narratore esterno o interno, una forma epistolare e, ciliegina su una torta perfetta, una costruzione senza ordine cronologico, ma con continui salti temporali, che chiedono al lettore attenzione e l’assemblare la storia in corsa, affinché al termine sia compiuta.
Nonostante sia il racconto di una vita ordinaria riesce ad appassionare il lettore, e, sebbene in fondo non contenga una trama coinvolgente, tiene vive le aspettative verso il personaggio, del quale attendiamo un improvviso moto di attività e ci chiediamo continuamente cosa farebbe se la vita non lo sottoponesse a nuove prove, sempre difficili.
Non è una lettura “leggera”, non perché non riesca mai a farci sorridere ma perché la vita del protagonista si snoda attraverso eventi quasi sempre drammatici, in cui la morte e le malattie hanno un ruolo centrale e imprimono quella forza a cui si oppone il colibrì.
Per questo motivo credo sia importante avvicinarsi al libro con il giusto stato d’animo per poterne godere appieno, altrimenti rischia di diventare l’ascolto di un requiem di cui non si coglie la grande abilità stilistica e la ricchezza dei contenuti.